Chopin Cover CD - Ali Hirèche

Ali Hirèche

Musica – Chopin: études Op.10 e Op. 25

Non è certo facile, nel XX secolo, pubblicare un integrale  degli studi di Chopin che lasci il segno. Ci è riuscito Ali Hirèche, senza ricorrere alla strada dell’originalità forzata, ma puntando invece su due elementi cruciali: il profondo rispetto del testo (e si potrebbe dire che che l’adesione al segno sia così eccentrica!) e l’autenticità emotiva, oltre naturalmente al dominio dello strumento. Hirèche è un pianista piuttosto schivoe completamente estraneo allo star system, anche se ha al suo attivo importanti affermazioni, fra cui quella al premio Venezia, e pubblicazioni di rilievo (mirabile, alcuni anni fa il suo CD monografico brahmsiano).

Chopin Cover CD - Ali Hirèche

Parigini, un po’ italiano d’adozione, essendosi formato al Conservatorio G. Verdi di Milano e all’Accademia Internazionale di Imola. Ritroviamo questa duplice identità anche nel suo approccio a Chopin che ha da un lato uno charme è una grazia parigini fino al midollo, dall’altro un amore per la bella linea di canto: un cantabile, però, che non è mai ostentato o eccessivamente esibito, e che si distende con naturalezza e pudore. Dal punto di vista interpretativo Hirèche e per molti versi un pianista di stampo novecentesco: c’è in lui la cura estrema del dettaglio e la ricerca di una coerenza che rifugge gli arbitri eccessivi o le esagerazioni.

Gli studi chopiniani sono evidentemente per lui composizioni di musica assoluta, capace di trascendere sia il dato meramente spettacolare che quello bozzettistico-paesaggistico. Dove sta allora la particolarità e la necessità di questa incisione? Nel fatto che, nonostante il profondo rigore, il pianista non si limita affatto a un’interpretazione di stampo strutturalista o oggettivista, ma riesce a imprimere il marchio della propria personalità senza che questo snaturi il testo chopiniano. Cene accorgiamo fin dal primo Studio dell’op. 10, nitidissimo nella sgranatura, ma ben lungi dall’inanellare una serie di note mitragliate: anche nella massima velocità cioè una forma di canto, soprattutto quando Hirèche vola verso l’acuto, sottolineando l’impennata con piccole inflessioni di fraseggio, come farebbe appunto un cantante. 

Virtuoso dai mezzi possenti, Hirèche si serve delle proprie abilità con saggezza: anche se non suona su uno strumento d’epoca, riesce per istinto e cultura a trovare una sonorità di stampo ottocentesco, senza cadere nella tentazione di un volgare superomismo. Particolarmente felici sono i momenti in cui Chopin chiede di suonare «leggero» (op.25 n.3) o «scherzando» (altri interpreti vi passano sopra come bulldozer). Suonare gli Studi di Chopin è un’impresa, ma spesso sono proprio gli studi più lenti a far cascare l’asino: ed è proprio in questi che, invece, Hirèche raggiunge il sublime, come accade nell’op. 10 n.3 (Lento, ma non troppo, giustamente), Pieno di grazia ineffabile e di un seducente pudore; nell’op. 10 n.6, in cui emerge tutta la sensibilità armonica dell’interprete; o nell’op. 25 n.7, meraviglioso nella gestione della gerarchia delle voci e nell’alternanza di energia e passione.

In possesso di un jeu perlè pieno di grazia, Hirèche riesce a veleggiare sulle ali del canto anche in studi molto rapidi come l’op. 10 n.7, restituendo una varietà di umori e di affetti inusuali, compresa l’ironia e l’arguzia. Il suo rubato (op. 10 n.11) e di spiazzante naturalezza, mai esagerato, frutto di uno studio scrupoloso ma non pedante. L’eleganza non si traduce mai in indifferente superiorità, perché il pianista rivela un fuoco e un pathos non sempre ravvisabili in interpreti pur timbricamente preziosi (ne sono esempi l’op. 10 n.12 o l’op. 25 n.11). Le evidenziazione di voci interne è  affascinante ma mai eccessiva ( op.25 n.1, op. 25 n. 10 nella parte centrale): l’alternativa alla voce superiore e ricercata solo quando necessaria, non per il mero gusto di mostrare indipendenza digitale. Fra gli studi più riusciti, sicuramente quello per le ottave (op.25 n. 10), in cui Hirèche riesce a trascendere la percussione e a dare l’idea di una linea lunga, come un’onda; o l’op. 25 n.1, giustamente sostenuto nel tempo, riflessivo e fluente al tempo stesso, sensibile nel concepire la parte superiore quasi intonando i vari intervalli. Notevole anche l’op. 25 n. 5, piena di una morbidezza (nell’accezione francese del termine, che comprende anche una buona dose di sensualità) che mi richiama alla mente numi personali come Egorov o Brunhoff, e l’op. 25 n. 12, curatissima nei piani sonori.

Qua e là, in altri studi, la ricerca del perfetto controllo -necessaria in un cd – ha portato forse il pianista a smussare alcuni contrasti: penso all’op. 10 n.9, che potrebbe essere più disperata nella sua estrema agitazione (allegro molto agitato, spesso nel forte), e che Hirèche risolve invece in un flusso più dolcemente malinconico (forse anche per scelta): l’agitazione vissuta in modo più interiore che esteriore).  In definitiva, un’integrale che si pone come un riferimento odierno per la capacità del pianista di trovare un’ideale punto d’incontro fra il proprio temperamento e ciò che sappiamo sullo stile chopiniano.

Di Luca Chammarughi
Mensile Musica aprile 2019