Le Brahms-Paganini sono ritenute a ragione uno dei baluardi più insormontabili di tutta la letteratura pianistica. Scorgendo la partitura, soprattutto per chi è del mestiere, non è difficile capire il perché. Ma al semplice ascolto, il grande pubblico non sospetterà mai quanto l’interprete abbia dovuto sudare le proverbiali sette camicie per venirne a capo. Vuoi variazioni virtuosistiche quindi, ma non di effetto trascendentale. La ragione? Perché non sono da ascrivere nel filone di letteratura romantica dei ruggenti anni ’30 dell’Ottocento, del virtuosismo flamboyant alla Listz, tanto per intenderci. Il virtuosismo nato da tutta una serie di invenzioni e diavolerie pianistiche che hanno fatto gridare al miracolo.
Le «Paganini di Brahms», invece, recuperano una tecnica e uno stile che non a torto possiamo definire arcaicizzante. Le novità, semmai, le ritroviamo nel timbro e nella ricerca del suono pianistico. Ed è anche sotto questo aspetto che le variazioni diventano virtuosistiche e impervie per l’interprete il pianista francese Ali Hirèche approccia a questo biblico leviatano cogliendo, a parer mio, la giusta chiave di lettura. Nessuna forzatura in senso virtuosistico, senza mai tirarsi indietro e snocciolando in maniera chiara tutte le note – verrebbe a dire – alla giusta maniera o «nel modo giusto», fate voi. Ma la cosa che colpisce di più è la ricerca di una timbrica brahmsiana che non punti sulla spettacolarità che – lo ripetiamo ancora una volta – non era e non è il fine ultimo di queste pagine ma virgola che tenda a ricreare il clima estetico della musica assoluta sul pianoforte e, in misura maggiore, quella organistica. L’aspetto intimo e meditativo emerge ancora di più nelle altre due serie di variazioni, quelle su un tema originale e quelle scritte – così recita il manoscritto – «su un tema di lui, dedicate a lei».
Ovviamente queste ultime rappresentano un fitto intreccio del triangolo dei sentimenti tra Schumann, sua moglie Clara e Brahms. Si tratta di un brano imbevuto di Schumann, che usa per tema il foglio d’album op. 99 n.4 e in cui l’arte della citazione e dei rimandi dimostra come Brahms avesse fatto sua l’arte crittografica di cui Schumann era stato sommo maestro. Le variazioni musicalmente divine, testimoniano come Brahms partisse da Schumann per elaborare geniali ricerche di scrittura pianistica. Peccato che siano ancora troppo poco eseguite e apprezzate in sala di concerto. Si tratta di musica in cui si tocca il vertice assoluto del lirismo e dell’introspezione romantica. Non deve meravigliare, quindi, che in questa serie di variazioni le doti pianistiche testé rilevate in Ali Hirèche voi siano ulteriormente messe in risalto, grazie ad una poetica del suono intima e riflessiva e ad una dinamica ricca di sfumature.
Benedetto Cirinna